Il reato di disamore
Chiedono spesso, a chi racconta storie, quale sia la maggiore difficoltà. Quale sia l’impedimento più arduo da superare, il sacrificio più duro.
Si pensa alla pagina bianca, all’assenza di ispirazione; al problema del reperimento di trame, alla costruzione storica, alla ricerca di documentazione. Niente di tutto questo.
La difficoltà maggiore, l’ostacolo più alto è certamente la necessità dell’immedesimazione. Il riconoscimento di un sentimento oscuro, di un abisso di follia e di disperazione. Il doversi calare, per poterlo descrivere adeguatamente, all’interno di un pozzo profondissimo e buio, nell’assoluta inconsapevolezza di quello che si troverà in fondo e nel terrore di ritrovarsi a urlare per chiedere aiuto senza ricevere risposta.
Perché il fattore più grave, per chi scrive storie che parlano di crimine, è scoprire che i sentimenti che ispirano i peggiori atti sono in origine molto umani, e tutt’altro che rari. L’invidia, la gelosia, il senso di possesso, l’ossessione di un amore, sono riconoscibili in ognuno di noi. Per fortuna quasi tutti ci fermiamo molto prima dell’irreparabile: ma a qualcuno non succede. Qualcuno va avanti. Fino in fondo. Fin quando non c’è più ritorno.
Ed è fin troppo facile riconoscere nei delitti che si attuano nel territorio dell’amore i più raccapriccianti e dolorosi tra i crimini. La violenza dei forti nei confronti dei deboli, donne, anziani, bambini; le ferite, le lesioni da parte di chi dovrebbe invece proteggere, difendere, amare. Piccoli cadaveri straziati, volti sfigurati per sempre, o mia o di nessuno, mai più. E anche privazioni della libertà, della volontà, dell’autodeterminazione, in una parola dell’essenza stessa dell’umanità.
Il territorio di questi delitti del disamore, di questa corruzione di un sentimento meraviglioso che devia dal proprio corso naturale e diventa qualcosa di terribile che nulla conserva dell’emozione originaria, si è peraltro allargato. Il web, la sua indiscriminata capacità di diffusione immediata di immagini e giudizi sommari che portano a condanne superficiali o a voyeuristiche attenzioni; la società multietnica che mette a confronto culture spesso distantissime e divergenti in modo stridente; lo scontro tra pregiudizi antichi e relazioni sociali in brusca e imprevedibile evoluzione: il sistema di regole che fronteggia il delitto non può essere fermo e sclerotico, ma deve necessariamente tener conto della velocità del cambiamento.
È per questo che il Codice Rosso costituisce una risposta. È l’adeguamento del bene di fronte al peggior male, una nuova reazione a forme di dolore e di sofferenza che fino a poco tempo fa erano difficili perfino da immaginare.
Il reato di disamore è il peggiore tra i crimini. È la lesione che viene dalla carezza, l’odio che cresce come una pianta malata dove dovrebbe esserci la tenerezza.
È il delitto di questo tempo, la ferita profonda che non si rimargina.
Per questo è necessario, non semplicemente opportuno, che tutti insieme forniamo una risposta.
Maurizio de Giovanni, agosto 2019